martedì 15 gennaio 2013


Uomo di fede o uomo di religione?
Non voglio qui fare un trattato su fede e religione, non ne ho la competenza e nemmeno le capacità, ma solo condividere alcune idee che ho maturato a proposito, visto che è un tema che mi sta a cuore.

Più vivo e più mi sento uomo di fede ma non uomo di religione.
Spesso confondiamo la fede con la religione e tendiamo a credere che essere uomini e donne di fede significhi rispettare una serie di precetti e norme: i 10 comandamento, andare a messa la domenica, dire le preghiere (ho detto dire le preghiere e non pregare...), etc.
Proprio quello che, in buona fede (è il caso di dirlo) credevano i farisei al tempo di Gesù.

La nostra religione mette al centro la persona e non i principi, non dobbiamo mai dimenticarlo perchè questo fa una grande differenza.
Essere uomo di fede (e non avere fede perchè la fede è una relazione e non si può possedere...) significa essere uomo che costruisce relazioni d'amore. Che scommette tutto sull'Amore.
Questo significa, anzitutto, accogliere la richiesta di Dio di entrare in relazione con noi stessi, perchè Fede non è quella che noi abbiamo in Dio, ma la Fiducia che Dio ha in noi.
Quando diciamo che la fede è un dono non intendiamo che ci viene "regalata" la capacità di credere, ma che Dio ci dona la sua Fede, la sua Fiducia perchè è Amore e l'Amore si fida. E siccome ci ama, e non può non amarci visto che è Amore, ha fiducia in noi. Crede in noi, scommette su di noi, su ciascuno di noi singolarmente e su di noi come umanità.

Sempre, contro tutto e contro tutti.
E' la stessa cosa di quando diciamo che per amare dobbiamo prima sperimentare l'essere amati.

Nei secoli i cristiani hanno costruito una religione che, se nata dall'ebraismo (e quindi con radici più profonde nella religione egiziana e forse anche babilonese/sumera), è poi passata per il culto religioso dell'antica Roma, che a sua volta si era innestato su pratiche religiose più antiche e sulla religione dell'antica Grecia.
Insomma abbiamo costruito, un sistema di vivere e celebrare insieme la nostra fede.
Lo abbiamo fatto prendendo di volta in volta, quanto nel corso dei secoli, gli uomini hanno inventato per esprimere, celebrare, ritualizzare e vivere insieme la loro fede.
Per i cristiani vivere la fede insieme, condividendo la vita, è una scelta fondante perchè se è vero che al centro ci sono le persone e le relazioni d'amore che costruiamo, ne consegue che solo insieme, in comunità potremo vivere da uomini di fede.

Oggi si pone, forse in maniera più urgente di altri tempi, il problema di come esprimere e vivere insieme questa fede. Se penso a quando avevo 20 anni (1988)devo ammettere che in questi ultimi 25 anni il mondo è cambiato parecchio. Non sto qui ad elencare tutto ciò che ci ha rivoluzionato la vita, lo sappiamo tutti.
Invece i chiedo: è cambiato nel contempo anche il modo di vivere la fede?
Se guardo la vita della parrocchia di cui faccio parte ( ma anche della chiesa in generale) direi di no.
In qualunque campo si indaghi non vedo novità, evoluzione: le liturgie sono le stesse (anzi forse si è fatto qualche passo indietro), la catechesi non evolve, il concetto di parrocchia come territorio continua a resistere, la centralità dei parroci e la marginalità dei laici è ancora la stessa, persino gli incontri, di formazione o preghiera, sono uguali (stesse canzoni, stesse preghiere, stesso modo di condurli, perfino stesse parole ed espressioni).
Ma c'è una grande differenza: tutto continua come una volta ma in un tessuto sociale che si è sfaldato, disintegrato, atomizzato.
Da ciò consegue un approccio individuale e settoriale da parte delle persone che accentua la funzione della parrocchia come centro servizi (vado per "prendere" o "dare" qualcosa ma individualmente).


Sono apparse alcune proposte che cercano di andare controtendenza: gruppi famiglia, il prolificare dei cori, le cellule di evangelizzazione, per citarne alcune. Ma sotto a queste esperienze ci sono sempre gli stessi schemi (centralità del parroco o dei sacerdoti, solite modalità di comunicazione della fede, attività spesso fatte all'interno delle  mura della parrocchia...).
Si è capito che l'urgenza oggi è fare rete, costruire relazioni sul territorio, in una parola fare comunità.

Nonostante questi tentativi avviene che, mentre la religione arranca, la fede continua a progredire, perchè lo spirito non smette mai di soffiare, con la conseguenza che le persone si allontanano da una religione che non riesce più a rispondere al loro bisogno di vivere la fede e cercano vie nuove e diverse per rispondere a questa esigenza.
Avviene un po' come quando una relazione di coppia appiattisce, diventa ripetizione degli stesse azioni, ci si perde nella routine, e entrambi avvertono che la quotidianità non rispecchia ed esprime più il loro legame d'amore e quindi nasce la spinta a cercare altrove risposte al proprio bisogno di amare ed essere amato.

Ora, come è possibile fare comunità in una parocchia di 8.000 abitanti? Cosa vuol dire fare comunità nel 2013? E questo richiede di ripensare il ruolo del clero e dei laici?


Credo sia da questo punto centrale che tutta la riflessione sulla nuova evangelizzazione deve partire. Perchè la comunità è il luogo privilegiato per vivere e esprimere la nostra fede. E' in una comunità che ciascuno di noi può sperimentare e costruire relazioni d'amore reali (vorrei dire di carne) e quotidiane.
E come dicevo prima se togliamo la persona e relazioni quella che viviamo non possiamo più chiamarla fede cristiana.
Perchè la nostra fede non è basata sui principi ma sulle persone.





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